domenica 29 gennaio 2012

Hugo Cabret di Martin Scorsese

Da giovane non capivo a cosa servissero i registi. Quando c'era la premiazione degli Oscar mi dicevo "Ok, ai migliori attori è ovvio. Ok, ci sta quello alla sceneggiatura, alla musica, agli effetti speciali, ai costumi. Ma ai registi? Cosa fanno i registi? Giusto fare un po' d'ordine fra le scene e dire "azione" quando serve e poco altro". Poi un giorno ho visto Toro Scatenato di Scorsese. E mi si è aperta una coulisse. Ho improvvisamente capito ogni inquadratura, ogni sfumatura della recitazione, ogni scelta... tutto. Ho capito cosa vuol dire fare il regista. Ho capito cosa vuol dire essere un grandissimo regista. Essere Martin Scorsese. E non l'ho mai più dimenticato.
Hugo Cabret è il primo film "per famiglie" di Scorsese. E' tratto da un libro per ragazzi di Brian Selznick, il bisnipote di quel David O. Selzinck che ha fatto il cinema, il produttore di Via col vento per intenderci. Il film è in 3D. Nella prima scena la macchina da presa, dopo un'inquadratura dall'alto di Parigi fra i fiocchi di neve che ti vengono incontro, s'infila velocemente nella banchina fra due treni fermi e la percorre fino in fondo, a rotta di collo, fra la gente, gli oggetti, le cose fino ad arrivare al fondo della stazione. E la scena è così bella che uno pensa "Eccoci di nuovo qui Martin" e si accoccola meglio nella poltrona. La storia è quella di un orfano che vive nelle soffitte della stazione dove dà la carica a tutti gli orologi del luogo e vive insieme a un'automa di metallo ultima cosa rimastagli dal padre. Per questo il suo unico pensiero è quello di riuscire a riparare l'automa e per farlo rubacchia i pezzi necessari al burbero proprietario di un negozietto di giocattoli all'interno della stazione, che però lo scopre e gli requisisce il taccuino con gli appunti del padre. Nel tentativo di recuperarlo, Hugo scopre molte cose, aiutato dalla figlia adottiva del negoziante. Soprattutto la vera identità di quest'ultimo, che si rivela essere Georges Melies (un Ben Kingsley truccato in modo tale che sembra pronto per interpretare un biopic su Luigi Pirandello), considerato il padre del cinema dopo i fratelli Lumiere. Avete presente quell'immagine della luna nel cui occhio atterra un missile? Bè, lui è quella cosa li. 
A farla breve, Hugo Cabret non è altro che il ringraziamento di Scorsese a chi ha fatto il suo cinema, a chi come lui ha sognato il sogno del cinema. E tutte le parti in cui Martin cerca di trasmetterci lo stesso stupore che deve aver provato lui di fronte alle immagini, alla creazione, all'invenzione sono veramente bellissime. Quando segue le esplorazioni di Melies, le sue scenografie oniriche, le comparse vestite da aragoste, quelle da fantasmi o quelle da ladroni, si sente che Scorsese sta godendo come un riccio e lo stesso succede a noi. Poi il film secondo me ha un quarto d'ora che non sarebbe stato male tagliare e alcune parti con i bambini sono un filo noiose. Ma Asa Butterfield, il protagonista è una meraviglia e lo vorrei incontrare fra 20 anni. Peccato che io ne avrò 70. E che le aragoste saranno andate a male.

mercoledì 18 gennaio 2012

Paradiso Amaro (The Descendants) di Alexander Payne

Iniziamo con le cose negative che, notorimente, sono sempre quelle più divertenti. Mai viste così tante brutte camicie hawaiiane. In quasi due ore di film non ce n'è una che si salvi. 
E poi la scoperta che a volte la musica locale ha preoccupanti similitudini con gli jodel tirolesi, melodie che spiazzano quando aassociano  palme e crauti.
Paradiso amaro, l'infelice titolo scelto in Italia (forse l'influenza dalla crisi) per il film The Descendants, di Alexander Payne e con George Clooney, si è appena aggiudicato due premi importanti ai Golden Globe di qualche gionro fa. Migliore film drammatico e migliore protagonista maschile. E se po' ffa.
La storia non ha niente di sorprendente. Una moglie in coma dopo un brutto incidente in mare, un marito frastornato, tale Matt King (George), due figlie, l'adolescente Alexandra (Shailene Woodley) e la decenne Scottie (Amara Miller) che reagiscono in modo diverso all'assenza della madre. Sullo sfondo, la vendita del trust familiare di un territorio incontaminato, gestita proprio da Matt.
Tutto questo si svolge alle Hawaii, un gran brutto posto pare, la dimostrazione che ovunque vadano, gli americani riescono a fare un bel danno d'immagine e a trasformare qualsiasi territorio in una specie di immenso golf per provincialoni. Del resto lo afferma anche il protagonista nelle prime battute iniziali, quando dissuade chiunque a invidiarli. Sono con te, Matt.
All'inizio c'è un uso esagerato della voce fuori campo del protagonista, costretto a spiegare un bel po' di cose all'ignaro spettatore, ma quando esce fuori la notizia fondamentale, che la moglie l'ha tradito, lì le cose si fanno interessanti. E non perchè inizino i flashback con le scene di sesso. 
La recitazione del buon George si fa sempre più asciutta, man mano che sale il dolore, l'incapacità, le difficoltà. E accanto a lui le figlie non tradiscono nè le sue aspettative nè le nostre con una recitazione altrettanto pulita. E alla fine, mentre si segue il normale racconto di un addio non solo a una madre che muore, ma anche a tutta una vita per come è stata vissuta fino ad allora, ci si chiede come facciano quei cialtroni di americani, quelli stessi che hanno rovinato con i grattacieli e il cattivo gusto mezzo mondo, come riescano in un film senza grandi colpi di scena, a calibrare il dolore e i sentimenti con signorilità. E' per questo che penso che il buon George si sia meritato il premio. Come Matt King è riuscito a contenere ogni gigioneria e a far dimenticare l'orrenda wrestler con cui si accompagna attualmente. Una menzione speciale alla corsetta che fa da casa sua a quella dei vicini amici. Se è naturale, è veramente bizzarra, se è recitata è ben recitata.
Ottimo anche Robert Foster, nella parte del suocero che dà l'ultima carezza alla comatosa, e Amara Miller (nomen omen) in quella della figlia piccola che piange una volta sola, ma con sorprendente capacità.
Finite le Hawaii, fuori al cinema ci aspettavano freddo polare e nevischio. Datemi un hukulele.