venerdì 26 febbraio 2010

An education di Lone Scherfig

Jennifer (Carey Mulligan) nel 1961 ha 16 anni, vive a Twickenham una noiosa vita piccolo borghese, studia con grande profitto per andare a Oxford, suona il violoncello, ascolta Juliette Greco, legge Albert Camus e da lui impara che non si fanno domande, che fare domande è naif e borghese e non fare domande è da persone sofisticate e francesi. E Jennifer vuole essere sofisticata a tutti i costi.
Per questo, quando sulla sua strada compare il 35enne David (Peter Sarsgaard), con candida ma non stupida eccitazione si fa trascinare nel vorticoso mondo della Londra agli albori dello swinging, appena un attimo prima che i Beatles e Mary Quant facciano il botto. David è ricco, charmoso e frequenta buoni concerti, ristoranti all'ultimo grido, le aste da Christie's, amici eleganti (Danny ed Helen) e la porta a Parigi per il week end. Che poi i soldi li faccia in modo poco ortodosso è una cosa che Jennifer scopre a poco a poco ma che, grazie a Camus e all'esistenzialismo, dopo un'iniziale resistenza decide di ignorare. Semmai, con il passare del tempo, le domande che si pone Jenny sono: perchè studiare, perchè prendere una laurea per poi finire a insegnare a ottusi studenti in una scuola di periferia, perchè sprecare i suoi talenti, intelligenza cultura e arguzia, nella prospettiva di una vita in villetta stile vittoriano. Così, quando David le chiede di sposarlo, accetta e lascia la scuola poco prima di sostenere gli esami. La risposta alle domande che si fa, le arriva però con qualche lettera trovata nel cruscotto dell'auto di David.
Che pizza fare il riassunto dei film...
An education è un bel film. Scritto da Nick Hornby e basato su un racconto autobiografico della giornalista inglese Lynn Barber, si srotola lieve senza mai lasciarsi appesantire da melodrammi e anche quando ci sono delle lacrime da versare, queste sono solo leggeri accenni subito repressi dall'educazione inglese e dallo humor. Immaginiamo la faccenda messa in mano agli italiani ed è subito uno strappar di vesti e di verginità da riparare. Quando Jenny la dà a David per la prima volta l'unico commento è "E' buffo, tutta quella poesia per qualcosa che dura così poco"... David accorto, non commenta.
Mulligan è ottima, Peter Sarsgaard (marito di Maggie Gyllenhaall sorella di Jake Gyllenhaall fidanzato cowboy di Heath Ledger giusto per dare delle coordinate) è un interessante brevilineo che sta particolarmente bene in completo blu e impermeabile. Il padre è Alfred Molina e non aggiungo altro. L'amico di David, Danny, è il tomo che sposa la figlia di Meryl Streep in Mamma mia e quello che mette incinta Keira Knightley in La duchessa; nel film possiede una casa che, illuminata da una luce impensabile a Londra, sembra uscire da The World of Interiors e che desidererei possedere in quest'attimo. Rosmund Pike (la svampita Helen) ci regala alcune delle migliori battute del film: per consolare Jenny che ha preso un brutto voto in latino le dice: "Non ti preoccupare, mi hanno assicurato che fra 50 anni quasi nessuno parlerà latino, probabilmente neanche gli stessi Latini". La cosa riposante di An education è che non ci sono vittime e colpevoli. Jenny, nonostante venga sedotta, è molto più matura e consapevole di amare David soprattutto come via di fuga dal grigiore di Twickenham. E poi essere traviate è molto divertente. Il seducente David è invece molto più infantile e disarmante di quanto sia normalmente concesso al "villain" del romanzo, genuinamente innamorato della superiore intelligenza della ragazza e della vita facile. L'ultima frase del film è di Jenny che, finalmente all'università, dice "Così andai a Oxford e probabilmente davo l'impressione di essere fresca e innocente come tutti gli altri, ma non lo ero. Uno dei ragazzi con cui uscivo, ed erano veramente ragazzi, una volta mi chiese di andare a Parigi con lui. Gli risposi che non vedevo l'ora... come se non ci fossi mai stata". La freschezza si sa, dura l'espace d'un matin.

giovedì 25 febbraio 2010

Lourdes di Jessica Hausner


Nella prima scena di Lourdes si sente odore di cavolo. La macchina da presa mostra i preparativi della cena in una di quelle mense all'interno di strutture come conventi, istituti religiosi, oratori di cui tutti riconosciamo, al primo sbattere di mestoli contro il metallo dei recipienti, l'odore di minestra sciatta, basica a cui dovrebbe bastare la fede per farsela piacere.
Fra questi nasi anestetizzati spicca quello poderoso di Christine (Sylvie Testud), dignitosamente inchiodata su una carrozzella e imboccata di budino da una giovane volontaria, rigirata sul letto dalle suore, lavata dalla vicina. Giorno dopo giorno di un pellegrinaggio di anime in pena, Christine si muove con la disincantata grazia di chi non è probabilmente un credente e poco si aspetta dai volti dolenti di Cristi e Madonne da asporto nei negozi di souvenirs, se non la possibilità di viaggiare e non stare sola per qualche giorno. Sorride, ringrazia, guarda con simpatia e un po' di invidia agli amori che nascono fra le guide, osserva gli altri pellegrini affollarsi davanti agli altari e aspetta. Cosa non lo sa neanche lei, ma li tutti aspettano. O' miracolo. Esiste o non esiste? Ma è questa trepidazione, questa scettica e infantile speranza che dà bellezza al film. Perchè è comunque vita, è comunque umanità. E se godiamo dell'ironia con cui la regista tratteggia, attraverso le foto di gruppo le festicciole con il cantante italiano e le piccole invidie di chi miracolato non è, sappiamo come lei che il rapporto con il divino e la speranza di riconoscerlo e testimoniarlo in noi è profondamente personale e imperscrutabile ed è quanto lo sguardo fiducioso e il golfino azzurro di Christine ci dicono per tutto il film. Quando il miracolo avviene proprio a lei è la scelta di dio e il rapporto particolare che questi ha deciso di intrattenere con il miracolato più che l'atto in se stesso, che innescano gli interrogativi, le gioie, i timori e le delusioni in Christine e nei suoi compagni di viaggio. Ed è allora che bisogna crederci o non crederci. Perchè io penso che è quando il miracolo avviene che questa domanda diventa necessaria. Perchè significa accettare il legame che questo credere richiede. E l'implicito impegno ad essere felici che il miracolo sembra richiedere. Cosa fare se il miracolo è passeggero. O se questa felicità poi non si compie?

Che fine hanno fatto i Morgan di Marc Lawrence

Uno s'intristisce a volte. A volte va al cinema pensando di vedersi una tranquilla cagata senza pretese, con qualche battutina e un po' di romance e invece si becca i Morgan. In men che non si dica si ritrova nel bel mezzo di clichè visti mille volte (i cittadini che si ritrovano in una provincia apparentemente bifolca e senza storia per poi scoprire l'umanità e la profondità dei vaccari di turno), in un film nel quale palesemente nessun crede, dagli attori al regista, con l'unica eccezione forse dell'orso grizzly che, con la sua recitazione, giganteggia rubando in alcuni momenti la scena ai protagonisti. Ma quello che intristisce più di tutto, più della totale assenza di battute ascoltabili all'interno di un copione inesistente, più dei paesaggi da cartolina, è la vecchiaia. Di Hugh.
Si, sto parlando di Hugh Grant, il ciuffettone di "Quattro matrimoni e un funerale" a cui perdonammo persino di preferire quella mozzarella di Andie McDowell invece di baciare la terra su cui camminava Kristin Scott-Thomas. Quello sessoso di "Bridget Jones" che riusciva a mettere in imbarazzo noi adoratrici di Colin Firth: la nostra religione vacillava di fronte a lui che, finito in acqua mentre declama poesie con Bridget in barchetta, ne esce fuori con la camicia plasmata sui muscoli pettorali e la sigaretta bagnata fra le labbra. Anche quelle fra noi che schifano solo il pestare una cicca sulla spiaggia avrebbero pregato per poter dividere un bacetto con quel mozzicone. Scusa Colin.
E invece nel film di Lawrence (ma chi cazz'è?) improvvisamente ci troviamo davanti un signore di mezz'età, con una bolsaggine che tradisce una mancanza di obiettivi, di nerbo caratteriale che fa male al cuore. E si potrebbe ancora sopportare se il tutto non fosse aggravato dalle mossettine. Se nei film a cui prima accennavo le strizzatine d'occhi o i leggeri balbettamenti davano al nostro eroe una sua umanità, una sua cifra per quanto un po' sempliciotta, nei "Morgan" l'affastellarsi di queste mossette diventa imbarazzante. Grant sembra afflitto dalla sindrome di Tourette senza però l'interessante risvolto delle parolacce, che al film avrebbero dato almeno un indirizzo un po' più cazzuto. Poveraccio, ma perchè, perchè... Ah, e poi c'è Sarah Jessica Parker. No, non quella figacciona elegante di Sex and the city. Deve essere la gemella sfigata che hanno tenuto nascosta in tutti questi anni.
Qual è la morale di questo film? In presenza di un copione che neanche i Katharine Hepburn e Cary Grant dei tempi d'oro avrebbero potuto rendere passabile, una coppia di attori nella pericolosa età di passaggio fra una gioventù di splendori agratis e un'incerta vecchiaia, avrebbe fatto meglio a mollare il colpo. Hugh, senti a me, fra qualche anno e qualche chilo, potresti anche sostituire la sigaretta con il sigaro e interpretare in modo dignitoso Winston Churchill. Per il momento astieniti.

Revanche-ti ucciderò di Gotz Spielmann

La cosa più bella di Revanche sono i titoli di testa. Sulle immagini di un lago in un bosco, audio ambiente, i nomi dei protagonisti e della produzione sono scritti uno dopo l'altro, nella parte superiore dello schermo, come fossero tre o quattro righe di testo di un libro, in un carattere tipo Futura Bold. Belli, molto. Al termine dei titoli, una pietra rompe la calma del lago e la disperde in decine di raggi concentrici.
La storia, che si svolge in Austria, è quella di Alex che fa il tuttofare in un bordello di Vienna e ha una relazione segreta con l'ucraina Tamara, una delle prostitute. Il tenutario del bordello, saggio qual è, lo definisce a perfezione dicendogli che gli piacerebbe assai essere un duro, ma in realtà è solo un debole. Qual è il problema, verrebbe da dire? Il problema è che non risolvendosi a essere quello che è, Alex combina casini. Cercando i soldi per una vita migliore decide di compiere una rapina nella banca del paese vicino al quale si trova la fattoria del nonno. Ma la faccenda va storta e Tamara, che ha voluto seguirlo, viene uccisa dal poliziotto Robert. Ora dico, uno si porta la fidanzata in macchina durante una rapina, come se andasse in gita a Cesenatico? E quando ha la fortuna di sorprendere il poliziotto che sta controllando l'auto in sosta vietata (sic!), non gli toglie la pistola prima di scappare con la macchina? Come minimo succede quel che succede, che il poliziotto gli spara dietro e involontariamente fa fuori la donna. Alex disperato si rifugia dal nonno dove tagliando legna lenisce il dolore e si occupa della fattoria. Qui scopre che Robert è il vicino di fattoria e incontra Susanne, la moglie di Robert, che ogni tanto porta il vecchio signore a messa. Susanne lo luma e Alex si fa lumare e la scopa di notte sul tavolo da pranzo della linda casetta della coppia, mentre il giorno, armato di pistola e deciso ad uccidere Robert, segue l'uomo che fa jogging fra i boschi.... Fra una raccolta di mele, una passeggiata fra gli alberi e una sonatina di fisarmonica del nonno, a poco a poco Alex abbandona i propositi omicidi e resta alla fattoria mentre il nonno va in ospedale. Forse comprende anche la sua parte d'imbecillità nella faccenda? Intanto l'irrequieta Susanne decide di non incontrare più Alex: è rimasta incinta (di chi?), lei che non riusciva ad avere figli a causa dei problemi d'infertilità di Robert, e felice rimane con il marito.
Il film mi è piaciuto. Abbastanza. A un certo punto mi è sembrato troppo lungo. Con delle scene inutili. Credo che l'entusiasmo americano per il film sia perchè ci vedono lentezze europee che a loro possono anche arrapare. Io trovo che facciano perdere un po' di emozione. E laghi e alberi non mi sono stati sufficienti per riprenderla. Colpa mia? Forse; a un certo punto dovevo fare pipì. Forse è quello che ha rovinato tutto, ha tolto pathos. Poi mi fa anche incazzare che le cose siano sempre così schematiche. Finchè si sta in città, si è brutti sporchi e cattivi, poi si arriva in campagna e si scoprono le cose vere, i ritmi più umani, stormir di foglie, a better self.
Detto questo gli attori sono bravi, Alex ha pure una sua certa qual rozza (sensualità), sarà la stempiatura e la panzetta, ma le scene di sesso arrapano. Non c'è happy ending, ma solo sospensione di vita. Saluti silenziosi. L'idea che Susanne abbia potuto usare Alex come inseminator è una delle svolte più interessanti del film, la fotografia è molto bella, l'assenza totale di musiche una giusta scelta, l'austricità una novità rinfrescantee ... mo' basta.

mercoledì 24 febbraio 2010

Frane al cine

Ero adolescente quando vidi per la prima volta "Provaci ancora Sam". A un certo punto Allen, che nel film interpreta un critico cinematografico, entra in piena mattina al cinema per un'anteprima. Guardando la scena pensai, ma questo è il mio lavoro ideale, vuoi dire che c'è chi viene pagato per andare a vedere film di mattina?
Adesso non sto lavorando, nessuno mi paga, ma vado al cinema. Gratis. Alle anteprime organizzate dagli uffici stampa nelle cui liste ancora compaio grazie ai fasti passati. Soprattutto la mattina, meglio ancora all'ora di pranzo. Godo a vedere giornalisti che si portano dietro il panino, che piluccano patatine mentre chiacchierano con i colleghi di altre testate. Travet dalle dita unte. Questo toglie qualsiasi misticità alla visione. Che è un bene. Io invece niente cibo, ascetica. Sola. Senza patatine né colleghi. Compassata. Disoccupata. Perditempo.
Spesso i film sono noiosi, se non pessimi, ma vederli mi pare un bene comunque. Alcuno sono gradevoli: pochi quelli belli. Quando torno a casa paragono le mie recensioni mentali senza scopo né lettori a quelle fatte sui giornali americani on-line mesi or sono. Nell'insicurezza che provo al momento, godo se vedo che combaciano. Qualche volta succede. Allora godo molto. Più che se avessi mangiato le patatine. Ma col tempo mi passerà.
Poi ho deciso che potrei godere ancora di più se provo a scrivere le mie personali recensioni, anche se sono una frana, una frana al cine.