mercoledì 18 gennaio 2012

Paradiso Amaro (The Descendants) di Alexander Payne

Iniziamo con le cose negative che, notorimente, sono sempre quelle più divertenti. Mai viste così tante brutte camicie hawaiiane. In quasi due ore di film non ce n'è una che si salvi. 
E poi la scoperta che a volte la musica locale ha preoccupanti similitudini con gli jodel tirolesi, melodie che spiazzano quando aassociano  palme e crauti.
Paradiso amaro, l'infelice titolo scelto in Italia (forse l'influenza dalla crisi) per il film The Descendants, di Alexander Payne e con George Clooney, si è appena aggiudicato due premi importanti ai Golden Globe di qualche gionro fa. Migliore film drammatico e migliore protagonista maschile. E se po' ffa.
La storia non ha niente di sorprendente. Una moglie in coma dopo un brutto incidente in mare, un marito frastornato, tale Matt King (George), due figlie, l'adolescente Alexandra (Shailene Woodley) e la decenne Scottie (Amara Miller) che reagiscono in modo diverso all'assenza della madre. Sullo sfondo, la vendita del trust familiare di un territorio incontaminato, gestita proprio da Matt.
Tutto questo si svolge alle Hawaii, un gran brutto posto pare, la dimostrazione che ovunque vadano, gli americani riescono a fare un bel danno d'immagine e a trasformare qualsiasi territorio in una specie di immenso golf per provincialoni. Del resto lo afferma anche il protagonista nelle prime battute iniziali, quando dissuade chiunque a invidiarli. Sono con te, Matt.
All'inizio c'è un uso esagerato della voce fuori campo del protagonista, costretto a spiegare un bel po' di cose all'ignaro spettatore, ma quando esce fuori la notizia fondamentale, che la moglie l'ha tradito, lì le cose si fanno interessanti. E non perchè inizino i flashback con le scene di sesso. 
La recitazione del buon George si fa sempre più asciutta, man mano che sale il dolore, l'incapacità, le difficoltà. E accanto a lui le figlie non tradiscono nè le sue aspettative nè le nostre con una recitazione altrettanto pulita. E alla fine, mentre si segue il normale racconto di un addio non solo a una madre che muore, ma anche a tutta una vita per come è stata vissuta fino ad allora, ci si chiede come facciano quei cialtroni di americani, quelli stessi che hanno rovinato con i grattacieli e il cattivo gusto mezzo mondo, come riescano in un film senza grandi colpi di scena, a calibrare il dolore e i sentimenti con signorilità. E' per questo che penso che il buon George si sia meritato il premio. Come Matt King è riuscito a contenere ogni gigioneria e a far dimenticare l'orrenda wrestler con cui si accompagna attualmente. Una menzione speciale alla corsetta che fa da casa sua a quella dei vicini amici. Se è naturale, è veramente bizzarra, se è recitata è ben recitata.
Ottimo anche Robert Foster, nella parte del suocero che dà l'ultima carezza alla comatosa, e Amara Miller (nomen omen) in quella della figlia piccola che piange una volta sola, ma con sorprendente capacità.
Finite le Hawaii, fuori al cinema ci aspettavano freddo polare e nevischio. Datemi un hukulele.



1 commento:

  1. grazie di essere tornata! propongo di estendere le tue capacità critiche e darci qualcosa su Downton Abbey, Sherlock, quello della BBC ovviamente, TBBT, etc. Go boldly!

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