giovedì 25 febbraio 2010

Lourdes di Jessica Hausner


Nella prima scena di Lourdes si sente odore di cavolo. La macchina da presa mostra i preparativi della cena in una di quelle mense all'interno di strutture come conventi, istituti religiosi, oratori di cui tutti riconosciamo, al primo sbattere di mestoli contro il metallo dei recipienti, l'odore di minestra sciatta, basica a cui dovrebbe bastare la fede per farsela piacere.
Fra questi nasi anestetizzati spicca quello poderoso di Christine (Sylvie Testud), dignitosamente inchiodata su una carrozzella e imboccata di budino da una giovane volontaria, rigirata sul letto dalle suore, lavata dalla vicina. Giorno dopo giorno di un pellegrinaggio di anime in pena, Christine si muove con la disincantata grazia di chi non è probabilmente un credente e poco si aspetta dai volti dolenti di Cristi e Madonne da asporto nei negozi di souvenirs, se non la possibilità di viaggiare e non stare sola per qualche giorno. Sorride, ringrazia, guarda con simpatia e un po' di invidia agli amori che nascono fra le guide, osserva gli altri pellegrini affollarsi davanti agli altari e aspetta. Cosa non lo sa neanche lei, ma li tutti aspettano. O' miracolo. Esiste o non esiste? Ma è questa trepidazione, questa scettica e infantile speranza che dà bellezza al film. Perchè è comunque vita, è comunque umanità. E se godiamo dell'ironia con cui la regista tratteggia, attraverso le foto di gruppo le festicciole con il cantante italiano e le piccole invidie di chi miracolato non è, sappiamo come lei che il rapporto con il divino e la speranza di riconoscerlo e testimoniarlo in noi è profondamente personale e imperscrutabile ed è quanto lo sguardo fiducioso e il golfino azzurro di Christine ci dicono per tutto il film. Quando il miracolo avviene proprio a lei è la scelta di dio e il rapporto particolare che questi ha deciso di intrattenere con il miracolato più che l'atto in se stesso, che innescano gli interrogativi, le gioie, i timori e le delusioni in Christine e nei suoi compagni di viaggio. Ed è allora che bisogna crederci o non crederci. Perchè io penso che è quando il miracolo avviene che questa domanda diventa necessaria. Perchè significa accettare il legame che questo credere richiede. E l'implicito impegno ad essere felici che il miracolo sembra richiedere. Cosa fare se il miracolo è passeggero. O se questa felicità poi non si compie?

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