giovedì 25 febbraio 2010

Che fine hanno fatto i Morgan di Marc Lawrence

Uno s'intristisce a volte. A volte va al cinema pensando di vedersi una tranquilla cagata senza pretese, con qualche battutina e un po' di romance e invece si becca i Morgan. In men che non si dica si ritrova nel bel mezzo di clichè visti mille volte (i cittadini che si ritrovano in una provincia apparentemente bifolca e senza storia per poi scoprire l'umanità e la profondità dei vaccari di turno), in un film nel quale palesemente nessun crede, dagli attori al regista, con l'unica eccezione forse dell'orso grizzly che, con la sua recitazione, giganteggia rubando in alcuni momenti la scena ai protagonisti. Ma quello che intristisce più di tutto, più della totale assenza di battute ascoltabili all'interno di un copione inesistente, più dei paesaggi da cartolina, è la vecchiaia. Di Hugh.
Si, sto parlando di Hugh Grant, il ciuffettone di "Quattro matrimoni e un funerale" a cui perdonammo persino di preferire quella mozzarella di Andie McDowell invece di baciare la terra su cui camminava Kristin Scott-Thomas. Quello sessoso di "Bridget Jones" che riusciva a mettere in imbarazzo noi adoratrici di Colin Firth: la nostra religione vacillava di fronte a lui che, finito in acqua mentre declama poesie con Bridget in barchetta, ne esce fuori con la camicia plasmata sui muscoli pettorali e la sigaretta bagnata fra le labbra. Anche quelle fra noi che schifano solo il pestare una cicca sulla spiaggia avrebbero pregato per poter dividere un bacetto con quel mozzicone. Scusa Colin.
E invece nel film di Lawrence (ma chi cazz'è?) improvvisamente ci troviamo davanti un signore di mezz'età, con una bolsaggine che tradisce una mancanza di obiettivi, di nerbo caratteriale che fa male al cuore. E si potrebbe ancora sopportare se il tutto non fosse aggravato dalle mossettine. Se nei film a cui prima accennavo le strizzatine d'occhi o i leggeri balbettamenti davano al nostro eroe una sua umanità, una sua cifra per quanto un po' sempliciotta, nei "Morgan" l'affastellarsi di queste mossette diventa imbarazzante. Grant sembra afflitto dalla sindrome di Tourette senza però l'interessante risvolto delle parolacce, che al film avrebbero dato almeno un indirizzo un po' più cazzuto. Poveraccio, ma perchè, perchè... Ah, e poi c'è Sarah Jessica Parker. No, non quella figacciona elegante di Sex and the city. Deve essere la gemella sfigata che hanno tenuto nascosta in tutti questi anni.
Qual è la morale di questo film? In presenza di un copione che neanche i Katharine Hepburn e Cary Grant dei tempi d'oro avrebbero potuto rendere passabile, una coppia di attori nella pericolosa età di passaggio fra una gioventù di splendori agratis e un'incerta vecchiaia, avrebbe fatto meglio a mollare il colpo. Hugh, senti a me, fra qualche anno e qualche chilo, potresti anche sostituire la sigaretta con il sigaro e interpretare in modo dignitoso Winston Churchill. Per il momento astieniti.

2 commenti:

  1. Ma di che parla? Io, a dire il vero (ma smentirò pubblicamente), mi ero un po' incuriosita vedendo la locandina. Quelle due faccione appese mi davano l'idea di un thriller. Chessò magari si facevano fuori a vicenda. Invece, leggendoti, ne devo dedurre che l'espressione (ed espressività) dei due sia dovuta alla stessa domanda che si farebbe chiunque si ritrovi davanti al grande schermo vedendo questo, sembrerebbe, polpettone: "Che ce semo venuti a fa'?".

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