giovedì 25 marzo 2010

Happy family di Gabriele Salvatores

Pare che ci siano recensioni che plaudono, pare che si scomodi Pirandello, pare che piacerà... io l'ultimo film di Salvatores l'ho trovato agghiacciante. Una boiata pazzesca. Inutile, gratuita, senza arte nè parte. Il testo è tratto da una commedia teatrale e purtroppo si vede... non si è andati al di là di questo. Guardando Happy family sembra come se il cinema, per la maggioranza dei registi italiani, sia una cacca da prendere con le tenaglie per snaturarne qualsiasi dignità di racconto, di senso, di compimento. E soprattutto continuano a perpetrare uno stile vecchio come il cucco. Qualche post fa vi parlavo dei bellissimi titoli d'apertura dell'austriaco Revanche. Ecco, per darvi un'idea, i titoli di Salvatores hanno come sfondo un sipario teatrale rosso che ricorda i film di Totò e i titoli scritti in corsivo come per una partecipazione di nozze. Sarà pure voluto, ma che pena.
La press release apre con una citazione di Groucho Marx (che se lo sapesse chiederebbe i danni dalla tomba o brucerebbe con il suo sigaro l'intera baracca) che recita: "preferisco leggere o vedere un film piuttosto che vivere. Nella vita non c'è una trama".
Non so nella vita, ma una trama non c'è neanche nel film di Salvatores, quindi a questo punto non resta che leggersi un buon libro... va bene anche il ricettario di Suor Germana, sempre meglio. 
Persino nella suddetta press realise non riescono a riportare la trama, solo frasi tipo "Happy family è una confessione camuffata, una commedia che parla della paura di essere felici". Cazzate. Non parla di niente. Un niente che provo a riassumere.
Ci sono due famiglie (Bentivoglio e Buy da una parte e Abatantuono e Carla Signoris dall'altra) che si incontrano una sera a cena perchè i due figli adolescenti si vogliono sposare. Il pretesto è di una banalità sconcertante, anche perchè si capisce immediatamente che il ragazzino è gay lontano un miglio e se lui ancora non lo sa, noi lo sappiamo appena apre bocca. Oltre questo incontro e la preparazione all'incontro non c'è molto altro. Ah, si dimenticavo: deus ex machina del meccanismo è Ezio (De Luigi) uno scrittore che teoricamente scrive la storia che stiamo vedendo, ma in realtà finisce per viverla in prima persona a causa di un banale incidente in bicicletta. Per aggravare ancor di più il senso teatrale del film, in varie occasioni i personaggi "bussano" al computer di Ezio pretendendo parti più ricche, scene in più. Ed è qui che viene citato Pirandello, un altro poveraccio che starà rigirandosi nella tomba e questa dovrebbe essere la trovata spiritosa, la soluzione fuori dagli schemi del film.
Il tutto nella cornice di una Milano estiva fotografata benissimo, ma come una cartolina, con quei colori super saturi e con quel gusto da fumetto che aveva un po' il film Amelie. C'è anche una sequenza di immagini della città notturna in un bellissimo bianco e nero che di per se stesse sarebbero magnifiche, ma che nel contesto perdono di ogni significato.
Gli attori sono tutti bravi, ma sotto sotto si capisce che sono i primi a non sapere bene cosa ci stanno a fare. Abatantuono fa sbellicare dalle risate ogni volta che apre la bocca, ma se fosse in mutande a casa sua cazzeggerebbe nella stessa identica maniera. 
Agli sceneggiatori italiani rivolgo una preghiera. Guardatevi un po' di serial americani per capire come funzionano i meccanismi narrativi. Credo che "Barbie e la magia del lago" sia un film meglio costruito di questo. Ed è della solita ochetta che si parla.


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